Tripolis

Produzioni

di e con
Dario Muratore

Tu lo sai come si fa il couscous?
Si pigliano tanti piccoli cocci di semi,
si mette un filo d’acqua e si fanno incocciare.
I chicchi Carmelo, te li devi immaginare come le persone.
nello stesso cato, tutti nella stessa terra, uno accanto all’altro. Se ci runi l’acqua e i fa’
manciari loro crescono;
ma per crescere, Melù,
un coccio s’ava incucciare c’un avutru coccio.

suono Giovanni Magaglio | luci Petra Trombini | scena Igor Scalisi Palminteri |
costumi Francesco Paolo Catalano | aiuto regia Federico Cibìn e Simona Sciarabba |
grafica Manuela Di Pisa | produzione Piccolo Teatro Patafisico | In collaborazione con
Campo Teatrale Milano, Dimora Teatrale Macciangrosso, Compagnia Nando&Maila –
Dulcamara
*MENZIONE SPECIALE BANDO THEATRICALMASS di Campo Teatrale

Un giovane uomo chiede a una vecchia donna quali siano le tracce della propria origine. La
Libia, Tripoli, la colonia italiana.
Attraverso il topos Nonna/Nipote viene evocato un secolo di storia, di vita, di morte ma
soprattutto d’incontro tra due identità: quella del colo-nizzatore e del colonizzato, quella
italiana e quella araba che si ritrova- no a condividere una terra, una città, un deserto,
un’anima.
Cocci di vita di una donna italiana, colonizzatrice, culturalmente fasci- sta. La sua storia, la
sua visione intima e la sua alterità nei confronti del dominato. Ma cosa succede quando
l’Italia perde il dominio politico e la situazione improvvisamente si ribalta?
L’arabo ritorna a essere il padrone della propria terra e l’italiano diviene ajsnabi, straniero.
TRIPOLIS è lo sviluppo di un’indagine che ha come punto di partenza le domande “Chi è
l’altro? Chi è lo straniero?”. Quando ci poniamo tali domande ci stiamo in realtà chiedendo:
“Chi sono io? Chi siamo noi?” In quanto il discorso sull’altro è solamente un modo per
parlare, defini-re e riconoscere se stessi sulla base delle differenze e dell’alterità. Queste
hanno un carattere esclusivamente relazionale, non possono esi-stere isolate, e quindi la
differenza non possiede una propria essenza naturale. Il risultato è sempre un confronto, in
cui almeno uno dei due soggetti considera l’altro diverso da se e quindi lo definisce straniero.
Tale definizione può svilupparsi nell’individuo in un processo intimo, riflessivo, alienante e
spesso autodistruttivo. Forse solo tornando indie- tro, indagando le proprie origini in un
processo di resilienza, coccio dopo coccio è possibile ritrovare la propria essenza e
posizione nel mondo.

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